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Guida Medica Lo Stomaco.

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Lo Stomaco

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MEDICINA - GUIDA MEDICA - LO STOMACO

IL PROCESSO DIGESTIVO

Tra le funzioni dell'organismo umano, ve n'è una che più di ogni altra concilia, nella loro forma più elementare, piacere e necessità. È questa la funzione alimentare: mangiare, infatti, non significa soltanto soddisfare il bisogno di «ricaricare» la macchina umana, ma anche apprezzare i cibi e provare il benessere della sazietà. Tre volte al giorno, l'uomo civile consuma i suoi pasti: la colazione del mattino, il pranzo del primo pomeriggio e la cena della sera. L'uomo mangia, è stato detto, la bestia divora. Nell'uomo, l'alimentazione è diventata una tecnica, un'arte, una scienza. Ma ha anche molta importanza conoscere in che modo funziona, nell'organismo umano, l'apparato che digerisce e assimila gli alimenti. Se si considera la complessità di composizione dei tessuti vegetali e animali, ci si rende facilmente conto del numero enorme di sostanze chimiche ingerite in un pasto normale. Sostanze che però si possono ricondurre a 6 tipi principali: protidi o «proteine» (carne, formaggio, ecc.); lipidi (grassi); g1icidi, detti anche «idrati di carbonio» o «carboidrati» (zuccheri, pane, pasta, ecc.); vitamine; sali minerali; acqua. (Di questi 6 principi alimentari si parla diffusamente nel capitolo dedicato all'alimentazione).

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L'apparato digerente, detto anche «tubo digerente» è costituito da un canale lungo 10÷12 metri che si compone di 6 segmenti: la bocca, la faringe, l'esofago, lo stomaco, l'intestino, l'ano. La parete interna del tubo digerente è una mucosa (formata da tessuto epiteliale e connettivo) circondata da una serie di manicotti muscolari. Tutto l'apparato digerente è ricoperto all'esterno da uno strato continuo e molto sottile di tessuto connettivo, la cosiddetta sierosa, che nella cavità addominale prende il nome di peritoneo. La superficie interna dell'intero tubo digerente è cosparsa da un gran numero di ghiandole le cui cellule secernono molti degli importanti liquidi che hanno funzioni lubrificanti e digestive. Altre secrezioni provengono da alcune grosse formazioni ghiandolari disposte fuori e accanto al canale digerente, al quale sono connesse mediante condotti variamente conformati: sono le ghiandole salivari, il fegato e il pancreas. A seconda del tipo di secrezione, si distinguono 3 tipi di ghiandole: mucose, ricche di mucina, una sostanza vischiosa che ha il compito di lubrificare il contenuto intestinale; sierose, produttrici di un liquido poco denso e acquoso; miste, formate da cellule che hanno i caratteri sia delle ghiandole mucose sia di quelle sierose. L'apparato digerente ha la funzione di modificare gli alimenti, di assorbirne la parte utile per l'organismo e di espellerne la parte inutile e dannosa. Questa funzione, la digestione, si svolge attraverso una serie di fenomeni che avvengono nei diversi tratti del tubo digerente con questa successione: masticazione, deglutizione, digestione gastrica, digestione intestinale, assimilazione, espulsione delle scorie.

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Se si considera il cammino che qualunque alimento segue, da quando viene introdotto nella bocca fino all'eliminazione delle scorie, si nota che il processo digestivo è una sequenza di fenomeni disgregativi - meccanici e chimici - degli alimenti che poi vengono ricostruiti, sotto forme simili o diverse, nelle cellule dell'organismo. Tali fenomeni di disgregazione cominciano già dal momento in cui il cibo viene introdotto nella bocca: qui infatti hanno inizio contemporaneamente la masticazione (funzione meccanica) e l'insalivazione (funzione chimica). Funzione principale della bocca è la masticazione e l'insalivazione del cibo. La masticazione è svolta dai 32 denti, distribuiti in numero di 8 per lato, 16 nel mascellare superiore e 16 nella mandibola. La diversa forma dei denti dipende dalla loro sede e dal lavoro che sono destinati a compiere nella meccanica della masticazione: vi sono quindi 8 incisivi, 4 canini, 8 premolari e 12 molari che formano due archi continui chiamati «arcate dentarie». La lingua è un organo muscolare mobilissimo, che non solo partecipa alla masticazione, ma è anche sede, sulla sua faccia superiore, dell'organo del gusto rappresentato da piccole formazioni chiamate papille. Terza importante funzione della lingua è l'articolazione della parola. Dopo che i denti incisivi hanno addentato il boccone, questo viene grossolanamente rimescolato dalla lingua e portato all'indietro delle arcate dentarie, dove comincia l'opera di trituramento da parte dei denti premolari e molari. La masticazione è rappresentata da una serie di movimenti ritmici eseguiti da vari muscoli («temporali», «masseteri», «pterigoidei») bilanciati dai loro antagonisti, per cui la mandibola viene variamente sollevata e spostata in avanti. All'inizio, i movimenti masticatori possono considerarsi volontari, come quelli respiratori; poi diventano riflessi, automatici.

Sviluppano una notevole energia, e una lunga masticazione produce un lavoro muscolare di parecchi chilogrammetri. (Un chilogrammetro equivale al lavoro necessario per sollevare di un metro un peso di un chilogrammo).

Contemporaneamente alla masticazione, avviene la salivazione, che è abbondante: durante un pasto normale, si riversa nella bocca più di mezzo litro di saliva che impasta il cibo triturato dai denti e lo riduce in poltiglia, la quale viene deglutita in piccole quantità chiamate boli alimentari. A digiuno, la secrezione salivare è scarsa ma continua, e cessa solo nel sonno. Si accentua quando si parla, come reazione allo stimolo delle mucose della bocca, il quale è provocato dall'evaporazione. L'ambiente salivare è ricchissimo di germi che costituiscono la cosiddetta «flora boccale», la quale varia fortemente a seconda dei residui alimentari presenti nella bocca. L'azione dannosa di tali germi è frenata dai globuli bianchi provenienti dai vicini organi linfatici. La saliva viene prodotta da 3 coppie di ghiandole - le parotidi, le sotto-mandibolari e le sotto-linguali - situate fuori dalla bocca con la quale comunicano mediante lunghi tubi escretori. La parotide, che è la maggiore, si trova nella mandibola, sul davanti dell'orecchio, in una infossatura detta «loggia parotidea». È una ghiandola a grappolo, costituita da piccoli acini, dai quali partono i canali escretori che confluiscono in un canale maggiore chiamato dotto di Stenone: esso, dopo aver attraversato lo spessore della guancia, riversa la saliva nella bocca, al livello del secondo dente molare superiore.

L'apparato digerente

L'apparato digerente

Gli organi prossimali dell'apparato digerente

Gli organi prossimali dell'apparato digerente

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IL RIFLESSO SALIVARE

La ghiandola sotto-mandibolare, che ha le dimensioni di una mandorla, è situata sotto il margine inferiore della mandibola. Come la parotide, è del tipo a grappolo e fornita di un canale escretore, chiamato dotto di Wharton, che decorre obliquamente dal basso in alto e in avanti fino a sboccare in quella zona alla base della bocca che si trova sotto la punta della lingua. La ghiandola sotto-linguale si trova sotto la zona dove sbocca il dotto di Wharton. È la più piccola delle tre, ha il volume di un pisello, è anch'essa una ghiandola a grappolo e il suo canale escretore sbocca a fianco del dotto di Wharton. Alcuni secoli prima che la biochimica iniziasse le sue scoperte, fra i precetti della Scuola Medica Salernitana, ve ne era uno che diceva: «Prima digestio fit in ore», cioè raccomandava una buona masticazione perché «la prima digestione avviene nella bocca». E oggi è noto che già durante la masticazione hanno inizio, come si è detto, i fenomeni della digestione chimica. Infatti la saliva contiene, oltre che acqua, svariate sostanze di cui le più importanti sono la mucina e la ptialina. Mentre la mucina si limita a favorire meccanicamente la formazione del bolo alimentare, la ptialina è il primo di quella lunga serie di enzimi (fermenti) che il cibo ingerito è destinato a incontrare e che hanno il compito di disgregarlo chimicamente. La ptialina scinde l'amido cotto - uno zucchero presente in tutti i vegetali, in modo particolare nei semi dei cereali - in composti più semplici, cioè in «destrine» e in «maltosio».

L'azione della ptialina non è limitata al tempo in cui il cibo è nella bocca, ma continua anche nello stomaco, quando il bolo alimentare viene a contatto con il succo gastrico. La secrezione salivare è un fenomeno dipendente dal sistema nervoso: i movimenti della lingua e della mandibola la eccitano anche quando la bocca è vuota di cibo, mentre basta qualche rappresentazione visiva, olfattiva o anche solo immaginaria di un cibo allettante per eccitare maggiormente la secrezione salivare, ossia per produrre la cosiddetta «acquolina in bocca». Tra le ricerche sull'innervazione delle ghiandole salivari, le più famose e le più feconde di scoperte anche nel campo della neurofisiologia sono rimaste quelle del russo Pavlov. Oltre mezzo secolo fa, egli dimostrò che la secrezione salivare non è un processo puramente fisico, ma un vero e proprio «riflesso» dipendente dall'azione dei centri nervosi superiori, messi in moto da uno stimolo periferico. Pavlov, infatti, sperimentando sul cane e sull'uomo, diede la prova che di fronte a stimoli adeguati, la «zona riflessogena» risiede nella mucosa della bocca e della lingua. Per esempio, se si pone in bocca a un cane uno stimolo non alimentare, come polvere di quarzo, si osserva una secrezione salivare priva di mucina, cioè destinata solo ad allontanare la sostanza estranea. Se invece della polvere si introduce un sasso, allora la secrezione non si verifica affatto. Essa quindi non dipende dalla natura chimica, ma dalla qualità fisica dello stimolo. Quando questo è adeguato (zucchero, pane, sale, ecc.), la saliva secreta è più viscida, per eccitazione elettiva delle ghiandole più ricche di mucina.

Pavlov riscontrò anche che la secrezione salivare può essere provocata da molte specie di stimoli, per estensione della zona riflessogena ad altri organi di senso. Così, appunto, nel cane come nell'uomo, stimoli olfattivi o visivi causano l'«acquolina in bocca». Si possono pure creare, per riflesso condizionato, precise associazioni. Classico è rimasto l'esperimento che si è già avuto occasione di ricordare: se si fa udire al cane un determinato suono musicale (stimolo uditivo), mostrando contemporaneamente il cibo, l'animale reagisce con la secrezione salivare; e reagirà allo stesso modo in seguito al semplice suono, perfino se sarà una sola nota confusa fra le altre di un accordo complesso. Come si vede, nella funzione digestiva i riflessi salivari si prestano da soli a sorprendenti considerazioni. Ma ora passiamo alla seconda tappa della digestione: la deglutizione, cioè il passaggio del cibo nell'esofago. Questo atto comporta un insieme di movimenti della bocca, della faringe, della laringe e dell'esofago stesso. La faringe è un canale verticale di forma cilindrica situato dietro la bocca e le fosse nasali, sopra l'esofago e la laringe. Ha una tunica interna di tessuto mucoso formato di epitelio stratificato con ciglia vibratili e numerose ghiandole che secernono muco; una tunica media di tessuto muscolare fibroso; e una tunica esterna di tessuto muscolare liscio. I muscoli lisci, che determinano quindi movimenti involontari, sono una caratteristica non solo della faringe, ma dell'intero tubo digerente.

I MOVIMENTI PERISTALTICI

La faringe è il condotto comune all'apparato respiratorio e digerente. Nell'apparato respiratorio stabilisce la comunicazione tra le fosse nasali e la laringe; nell'apparato digerente la comunicazione tra la bocca e l'esofago. Ma queste comunicazioni non sono mai simultanee, cioè non avvengono contemporaneamente alla deglutizione e alla respirazione. Infatti, il meccanismo di questi due atti agisce in maniera che se passa l'aria dalle fosse nasali alla laringe, si chiude la comunicazione tra la bocca e la faringe, e viceversa. Il bolo alimentare è spinto dalla lingua verso il retrobocca. Sotto lo stimolo del bolo, il «velo palatino» (un setto muscolo-membranoso che forma la parete posteriore della bocca) si solleva e chiude le retrocavità nasali; a sua volta, l'«epiglottide» (l'apertura superiore della laringe) chiude come un coperchio la laringe. Quindi il bolo alimentare, spinto dalla contrazione dei muscoli della faringe, passa nell'esofago trovandosi preclusa la via superiore (verso le fosse nasali) dal velo palatino, e quella inferiore dall'epiglottide (verso la laringe). La deglutizione è un esempio di movimento riflesso con concatenazione: la volontà determina il primo movimento, gli altri vengono da sé. Il dorso della lingua si solleva contro il palato con una energica contrazione muscolare che spinge il bolo verso la faringe; contemporaneamente le vie aeree si chiudono per spostamento passivo dell'epiglottide. Il ritmo respiratorio deve essere interrotto per un istante; ma se ciò non avviene secondo il ritmo esatto, allora può accadere che il cibo vada, per così dire, «di traverso», cioè penetri nella laringe provocando tosse e senso di soffocamento. L'esofago, che fa seguito alla faringe senza una netta delimitazione, è un canale muscolo-membranoso, anch'esso costituito da tre tuniche (che sono la continuazione di quelle analoghe della faringe) lungo in media 25 centimetri e posto sul davanti della colonna vertebrale, posteriormente alla trachea, con la quale ha un decorso verticale parallelo. L'esofago termina con l'estremità inferiore nello stomaco mediante un orificio circolare detto cardias.

Nell'esofago, il bolo alimentare progredisce in parte per gravità (specialmente quando si tratta di sostanze liquide), ma soprattutto a causa delle contrazioni esofagee che sono del tipo peristaltico. Tali movimenti, determinati da fibre muscolari lisce, e perciò involontari, sono comuni all'esofago e a tutti gli altri segmenti del tubo intestinale, oltre che, in genere, agli organi tubolari dotati di muscolatura liscia (come gli ureteri, l'utero, le salpingi). I movimenti peristaltici sono soprattutto contrazioni ad anello che si propagano da un estremo all'altro del condotto, determinando la progressione del suo contenuto dall'estremità iniziale a quella finale. Le varie sezioni dell'intestino hanno compiti assai diversi nei processi della digestione e dell'assimilazione. Per realizzare, attraverso tali sezioni intestinali, il movimento progressivo della massa alimentare ingerita e per eliminare i residui, è necessaria una serie di contrazioni del complesso di tuniche muscolari, longitudinali e circolari, che si estendono dall'esofago all'intestino retto. E sono tali contrazioni, prevalentemente peristaltiche, che costituiscono l'azione meccanica della digestione. Questi movimenti sono di due tipi principali: i movimenti che fanno progredire il contenuto intestinale verso sezioni più lontane; e i movimenti destinati a rimescolare il contenuto in una data sezione. Alle stimolazioni meccaniche del tubo digerente, determinate dalla presenza delle sostanze alimentari, corrispondono le contrazioni delle tuniche muscolari del tubo stesso, che si estendono a onda lungo i suoi segmenti inferiori. Le onde peristaltiche differiscono nel loro percorso: alcune si dileguano dopo pochi centimetri lungo il tubo intestinale; altre si propagano per molti metri, fino a tutta la lunghezza del canale, assumendo talora un andamento a spirale che fa ruotare su se stessa la massa alimentare. Le onde peristaltiche possono avere inizio in un qualunque punto del canale digerente. Molte incominciano vicino al cardias (orificio di entrata dello stomaco), superano lo stomaco e giungono fino al colon, cioè alla penultima sezione intestinale. Meno frequenti sono i movimenti peristaltici dell'intestino crasso, destinati all'evacuazione, attraverso il colon e il retto, dei prodotti di rifiuto.

I COMPITI DELLO STOMACO

Ai movimenti peristaltici si aggiungono quelli di segmentazione ritmica, che mescolano la massa degli alimenti ingeriti e la frammentano a intervalli regolari, con pause più o meno distanziate. Queste contrazioni si verificano soprattutto a livello del duodeno (la porzione intestinale che si trova subito al di sotto dello stomaco), dove maggiore è la necessità di mescolare il contenuto intestinale con le secrezioni delle ghiandole digestive. Nell'intestino tenue e nell'intestino crasso si notano infine movimenti pendolari, consistenti in un movimento ritmico di va e vieni di alcune anse intestinali, mentre il contenuto apparentemente non progredisce. I movimenti peristaltici provocano il passaggio del bolo alimentare fino al cardias, che è l'orificio superiore dello stomaco. Normalmente il cardias è chiuso, perciò qui il bolo si arresta e inizia il lento attraversamento del cardias, in seguito alla sua dilatazione attiva dovuta allo stimolo meccanico del bolo. Se alla prima deglutizione ne seguono altre, l'apertura del cardias si verifica soltanto dopo varie deglutizioni. Ciò spiega perché, quando si comincia a mangiare voracemente, si prova un senso di oppressione alla «bocca» dello stomaco con l'imperiosa necessità di bere. Il bolo alimentare passa quindi nello stomaco, dove si dispone a strati. Lo stomaco è un sacco muscolo-membranoso che può essere considerato una dilatazione del tubo digerente. È situato nella parte superiore della cavità addominale, sotto il diaframma. Ha la forma di un corno di bue in posizione verticale, con la parte più larga in alto e verso sinistra; la parte più stretta in basso e verso destra. La capacità dello stomaco è di circa 1300 centimetri cubi. Le due estremità dello stomaco sono costituite da due orifici: quello superiore è il cardias (che come si è detto mette in comunicazione l'esofago con lo stomaco), quello inferiore è chiamato piloro e mette in comunicazione lo stomaco con l'intestino.

Anche lo stomaco è costituito da tre tuniche, ma molto più complesse di quelle dell'esofago e della faringe. La tunica esterna è detta perioneo; la tunica media è costituita da cellule muscolari lisce disposte su tre strati; la tunica interna è formata da mucosa pieghettata, tappezzata da tessuto epiteliale e disseminata di un grande numero di ghiandole che secernono il succo gastrico. Lo stomaco è una delle parti più sorprendenti del corpo umano, un organo eccezionalmente solido, resistente e lavoratore, dotato di grande flessibilità e mobilità. Quando è vuoto, resta appeso all'esofago come un pallone sgonfiato e può misurare fino a 20 centimetri dall'alto al basso. Quando invece si riempie di nutrimento, può misurare 40 centimetri di lunghezza e circa 10 di larghezza. Ma prima ancora che un boccone di cibo sia stato introdotto nella bocca, prima ancora che l'uomo cominci il suo pasto, lo stomaco inizia generalmente a contorcersi, secernendo il suo succo. Questa attività è originata dal sistema nervoso centrale autonomo dopo che il cervello è stato eccitato dalla vista, dall'odore, o anche solo dal pensiero del nutrimento. Sia questo presente o assente, lo stomaco si contrae regolarmente ogni tre o quattro ore, provocando la sensazione dell'appetito e, se esso non viene soddisfatto, dei crampi caratteristici. Infatti, anche la secrezione del succo gastrico a somiglianza di quella della saliva è sottoposta a numerosi e complicati stimoli riflessi. Pure in questo campo di ricerca, fondamentale è stato il contributo di Pavlov: egli dimostrò che la qualità e la quantità del succo gastrico sono variabili a seconda dei cibi ingeriti, o anche dei soli stimoli senza introduzione di alimenti. In tal caso si può giungere a provocare una secrezione di sola origine psichica in seguito ad alimentazione fittizia. Gli alimenti ingeriti nello stomaco subiscono alcune modificazioni chimiche per l'azione del succo gastrico prodotto dalle sue ghiandole, per lo più di tipo tubolare semplice. Si è calcolato che su ogni millimetro quadrato di mucosa gastrica si aprono 100÷150 orifici ghiandolari che riversano succo gastrico. Questo succo contiene numerose sostanze, fra cui fondamentali sono, oltre all'acqua, l'acido cloridrico e tre enzimi: la pepsina, la chimosina e la lipasi. L'acido cloridrico, presente nella percentuale del 0,40÷0,60%, ha una potente azione battericida, ossia distrugge i germi che penetrano nello stomaco con il cibo. Inoltre ha un'azione coadiuvante nella scissione delle proteine. I tre enzimi hanno il compito di scindere le sostanze alimentari ingerite in composti più semplici, come la ptialina contenuta nella saliva fa con gli amidi: la pepsina attacca le sostanze proteiche (già entrate in composizione con l'acido cloridrico), la chimosina coagula il latte e la lipasi attacca i grassi.

Lo stomaco

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GLI ALIMENTI «IRRITANTI»

La sola chimosina è così potente, che può far cagliare una quantità di latte 500 mila volte superiore al proprio peso. Nella chimica dello stomaco intervengono altri enzimi e altre sostanze di cui non si hanno ancora conoscenze complete, come ad esempio il «principio intrinseco» che facilita l'assorbimento della vitamina B12 da parte del fegato. Fino a quando tutti questi prodotti non saranno identificati e la loro azione non verrà spiegata, l'importanza dello stomaco nella funzione digestiva resterà nota solo in parte. Ma come fa lo stomaco a non «mangiare se stesso», cioè a non essere digerito dalle proprie secrezioni? La risposta sembra risiedere nella straordinaria resistenza della mucosa che tappezza l'interno dello stomaco, proteggendola contro l'acido cloridrico. La mucosa gastrica smentisce tutte le teorie che riguardano i cosiddetti «alimenti irritanti». Nulla di ciò che mangiamo è così irritante come l'acido cloridrico che si trova nello stomaco. E la sua mucosa rappresenta perciò una difesa efficace contro certi cibi irritanti come lo è contro il succo gastrico. Gli esperimenti hanno dimostrato, per esempio, che un alimento come la mostarda forte è in grado di provocare vesciche sulla pelle dell'avambraccio, ma ha effetti trascurabili e transitori su uno stomaco normale. Altri alimenti, considerati spesso irritanti, si sono rivelati egualmente inoffensivi. Vi è poi da dire che le opinioni tradizionali riguardanti la digeribilità o la indigeribilità di questo o di quel cibo sono smentite quando si studia il tempo necessario per la sua trasformazione chimica nello stomaco. Per esempio, molti alimenti vegetali comunemente considerati ben digeribili resistono ostinatamente all'azione dell'acido cloridrico e degli enzimi gastrici perché contengono un'alta percentuale di cellulosa che lo stomaco umano (e l'intestino) non è in grado di digerire.

Dopo circa mezz'ora dall'inizio dell'ingestione del cibo, si iniziano i movimenti peristaltici gastrici (analoghi a quelli dell'esofago) che dal fondo dello stomaco spingono il contenuto verso il piloro. Ma il piloro, a differenza del cardias, è dotato di uno sfintere (anello muscolare) il quale resta chiuso. Ne consegue che le sostanze contenute nello stomaco, respinte dal piloro, tornano indietro. Questo movimento antiperistaltico, ripetuto per due o tre ore, determina un rimescolamento continuo del materiale ingerito, il quale viene a contatto in tutte le sue parti con il succo gastrico che intanto agisce fluidificandolo e lo trasforma in una massa grigiastra chiamata chimo. Quanto alla permanenza, un pasto medio resta nello stomaco non più di quattro ore. Ma questo tempo varia considerevolmente secondo la natura degli alimenti e lo stato emozionale del soggetto. Se il pasto si compone principalmente di proteine, lo stomaco se ne sbarazza con relativa rapidità. In questo caso, la carne rossa accelera l'attività muscolare dello stomaco e la secrezione di succo gastrico. La mente ha una parte importante nell'attività dello stomaco, la cui azione muscolare si intensifica anormalmente se il soggetto si trova in uno stato di agitazione; se invece egli è depresso, il suo stomaco può essere non abbastanza attivo, e allora impiega un tempo maggiore per digerire, soprattutto se il pasto contiene molti grassi. Quando tutto il cibo ingerito è trasformato in chimo, sotto l'impulso dei movimenti peristaltici passa in modo graduale, a fiotti, attraverso il piloro che, normalmente chiuso, è pronto a dilatarsi quando l'acidità del chimo si attenua. Il contenuto gastrico giunge quindi nel duodeno, che è lungo circa 26 centimetri e rappresenta la prima porzione dell'intestino tenue. Nella superficie interna del duodeno vi è una sporgenza chiamata ampolla di Vater. Essa è lo sbocco comune di due condotti: il coledoco che viene dal fegato e il dotto pancreatico che viene dal pancreas. Il coledoco riversa nel duodeno la bile, il dotto pancreatico il succo pancreatico. Queste due sostanze continuano la trasformazione chimica delle sostanze alimentari già iniziata nella bocca dalla ptialina e nello stomaco dal succo gastrico.

Il fegato è la ghiandola più voluminosa del corpo amano: pesa circa 1500 grammi e occupa da solo tutta la parte superiore destra della cavità addominale, al disotto del diaframma. In corrispondenza della superficie inferiore del fegato, nel suo solco destro, anteriormente si trova la «vescica biliare» cioè la colecisti o cistifellea. È il serbatoio nel quale la bile prodotta dal fegato affluisce attraverso i condotti epatico e cistico e defluisce verso il duodeno per il dotto cistico e coledoco. Il tessuto del fegato è costituito da circa un milione di strutture dette acini. Ogni acino, che rappresenta la minima entità anatomica, funzionale e autonoma del fegato, ha forma piramidale e contiene un certo numero di cellule proprie del fegato, vasi sanguigni, condotti biliari e tessuto connettivo. Le cellule degli acini epatici, ampie e di forma poliedrica, formano cordoni e trabecole. Ciascuna trabecola è costituita da 7÷8 cellule epatiche disposte in doppia fila: fra esse corre un capillare - nel quale passa la bile prodotta dalle cellule - che, uscito dall'acino, confluisce in canali di maggiore ampiezza; e questi infine si congiungono fino al dotto cistico. La bile, prodotta in continuazione dal fegato, si raccoglie nella cistifellea dove subisce un processo di concentrazione. Quando gli alimenti, ridotti a chimo dallo stomaco, passano nel duodeno, la cistifellea viene stimolata a contrarsi (per mezzo di un meccanismo nervoso e umorale), cioè a spremere la bile in essa contenuta, attraverso i dotti cistico e coledoco, nel duodeno. Le funzioni della bile sono molteplici. Per la maggior parte vengono svolte dai sali biliari sintetizzati dal fegato: essi favoriscono l'emulsione dei grassi nel succo duodenale e vi rendono solubili in acqua alcune sostanze normalmente insolubili. La bile, inoltre, facilita l'azione di alcuni enzimi digestivi, frena la moltiplicazione dei batteri nell'intestino e stimola la peristalsi intestinale. Nella bile sono presenti, tra l'altro, quantità notevoli di pigmenti biliari, come la «bilirubina» e la «biliverdina», che le conferiscono la sua intensa colorazione giallo-oro. Essi derivano dalla demolizione della molecola dell'emoglobina che avviene quasi totalmente nel fegato. L'emoglobina, infatti, giunge al fegato attraverso il sangue della milza che è l'organo principale dell'emocateresi, cioè della distruzione dei globuli rossi invecchiati.

I pigmenti biliari e i sali biliari vengono riassorbiti nell'intestino per poi tornare al fegato dove sono nuovamente utilizzati. Di essi, una minima parte viene eliminata con l'urina sotto forma di urobilina. La secrezione della bile, importante per la digestione, è però solo una delle tante funzioni del fegato. Come è detto diffusamente nel capitolo dedicato al ricambio, questa ghiandola è il più complesso laboratorio chimico dell'organismo. Il fegato fabbrica e accumula il glicogeno (zucchero di riserva) e ne regola la trasformazione in glucosio (lo zucchero principale fonte di energia delle cellule) che distribuisce al sangue, quindi all'intero organismo. Il fegato, inoltre, trasforma i grassi in modo da renderli accettabili dalle cellule. Cattura poi gli aminoacidi (provenienti dalla demolizione nel tubo digerente delle proteine alimentari) con cui fabbrica le albumine (proteine semplici) del plasma sanguigno, l'urea (costituente azotato del sangue) e le nucleoproteine (sostanza nucleare delle cellule). Il fegato è il deposito di gran parte del ferro, il metallo che ha importanza essenziale per la fabbricazione dell'emoglobina nel midollo osseo. Il fegato immagazzina vitamine come la B12, la A, la PP e la K. Con quest'ultima produce la protrombina, una sostanza che svolge una funzione essenziale nella coagulazione del sangue. Il fegato, infine, regola il ricambio dell'acqua e rende innocue le più svariate sostanze tossiche.

IL SUCCO PANCREATICO

Si è detto che il chimo (cioè gli alimenti trasformati dallo stomaco) durante il suo passaggio nel duodeno viene a contatto, oltre che con la bile, con il succo pancreatico. Questa secrezione è prodotta dal pancreas, una ghiandola di forma irregolare, paragonabile a un martello appiattito, situata nella parte superiore della cavità addominale, sul davanti della colonna vertebrale lombare e dietro lo stomaco. Il pancreas è costituito da una estremità destra rigonfia detta testa, dal corpo e da una estremità sinistra assottigliata detta coda. Ha un aspetto lobulato e pesa 70÷100 grammi. Il pancreas ha una struttura che ricorda da vicino quella delle ghiandole salivari, tanto da essere chiamato la ghiandola salivare dell'addome. È a grappolo, e i suoi acini sono forniti di sottili canali dentro i quali versano il prodotto della loro attività, che è appunto il succo pancreatico. Tali canalini confluiscono in condotti di calibro sempre maggiore fino ad arrivare alla formazione del dotto pancreatico principale, che si estende dall'estremità sinistra all'estremità destra del pancreas, percorrendone l'asse. Questo condotto, insieme con un altro detto «accessorio», esce alfine dalla testa del pancreas, si avvicina al coledoco e con esso penetra nel duodeno sboccando nell'ampolla di Vater, già ricordata. La secrezione pancreatica è un atto riflesso, che si determina per il contatto della mucosa duodenale con l'acido cloridrico gastrico, attraverso l'azione intermediaria della «secretina», una sostanza di natura ormonale che eccita la secrezione del pancreas dopo aver attivato quella gastrica. Il succo pancreatico è quello che ha l'azione più energica e che agisce su tutti i principi alimentari.

Contiene tre importanti enzimi: la tripsina, la steapsina e l'amilopsina. La tripsina completa la trasformazione delle sostanze proteiche iniziata nello stomaco dalla pepsina; la steapsina attacca con maggiore energia i grassi già preparati dall'azione della lipasi nello stomaco e della bile nel duodeno; l'amilopsina completa la scissione degli amidi cominciata dalla ptialina nella bocca. La tripsina è presente nel pancreas sotto forma di «prezimogeno», inattivo, che viene attivato dalla «enterochinasi», un fattore elaborato dalla mucosa duodenale. Se la tripsina fosse già attiva nell'interno del pancreas, inizierebbe la sua azione digestiva a danno del pancreas medesimo, che andrebbe incontro ad autodigestione (autolisi). Tra gli enzimi che demoliscono i grassi alimentari nello stomaco, nel duodeno e nell'intestino, la steapsina ha l'azione più forte. E ciò avviene anche perché nel duodeno l'acidità del chimo è neutralizzata a opera di sostanze alcaline (bile e succo pancreatico). Infatti solo in ambiente alcalino può avvenire la scissione dei grassi in acidi grassi e glicerina. Nella costituzione del pancreas entrano però altri elementi ghiandolari che, sforniti di dotti escretori, versano il loro prodotto direttamente nel sangue. Sono piccoli ammassi di cellule disseminati nella compagine del tessuto ghiandolare acinoso. Si chiamano isole di Langerhans e nel loro complesso formano una ghiandola a secrezione interna la quale produce un ormone detto insulina, che regola il ricambio degli zuccheri, favorendo l'accumulo di glicogeno nel fegato e nei muscoli e la combustione del glucosio a livello delle cellule. Il pancreas (di cui si torna a parlare nel capitolo dedicato al ricambio) è dunque una ghiandola con doppia funzione: una secrezione esterna, il succo pancreatico, prodotta dagli acini e versata nel duodeno; una secrezione interna, l'insulina, prodotta dalle isole di Langerhans e versata nel sangue. Da quanto si è detto finora, appare già chiaro che nella funzione digestiva l'aspetto chimico prevale di gran lunga su quello meccanico della masticazione e della peristalsi. Infatti la digestione è più che altro una sequenza di reazioni chimiche di progressiva semplificazione delle sostanze alimentari per renderle accettabili alle cellule. E i grandi protagonisti di tale semplificazione sono gli enzimi, ognuno dei quali ha un'azione specifica su una determinata sostanza. Ma le trasformazioni subite dal chimo per opera della la bile e del succo pancreatico sono soltanto anelli intermedi di quella «catena chimica» che, iniziata dalla bocca, termina nell'intestino, traguardo del complesso fenomeno biofisico e biochimico che è la digestione.

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